28 Nov MEMORIAS DE UN CUERPO QUE ARDE
di Sipontina Severo
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Memorias de un cuerpo que arde è un film di Antonella Sudasassi Furniss che ha conquistato il premio del Pubblico nella sezione Panorama della 74ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Proprio come si farebbe con qualcosa che brucia, un corpo in fiamme lo si vorrebbe placare. Sono proprio le protagoniste di questo docu-film, attraverso la voce simbolica di Ana, una donna single di 65 anni interpretata dall’attrice Sol Carballo, a smontare questa illusione: «Per spegnere il fuoco della nostra passione, bisognerebbe chiamare i pompieri».
Docu-film dai toni intimistici che fa emergere una prospettiva femminile sul corpo delle donne e sulla sua fenomenologia affidata alle potenti confessioni delle tre protagoniste. I coraggiosi racconti senza filtri di questo trio ripercorrono vari momenti delle vite di ciascuna, dall’infanzia costellata di abusi al culmine dell’età riproduttiva sino alla menopausa. Rivelazioni dolorose e a lungo serbate da donne a cui è stato negato un rapporto sano con il proprio corpo: donne che capiscono di essere il proprio corpo e non solo di viverlo passivamente.
Ana, Patricia e Mayela sono solo alcune delle voci rappresentanti milioni di donne che hanno vissuto l’orrore — ma anche la bellezza — di essere cresciute tali in un’epoca dominata da una cultura religiosa repressiva e un machismo soffocante. La loro sessualità e identità, intrappolate da regole implicite e tabù opprimenti, si svelano in confessioni intime e potenti. Una delle protagoniste racconta senza remore: «Il sesso era un tabù. Ti insegnavano l’anatomia del corpo, ma mai a comprendere una relazione con gli uomini». E ancora: «Durante l’atto penitenziale ci si batte il petto: “per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”. Ma colpa di cosa, esattamente? Ci insegnano a prenderci la colpa, ma mai a come liberarcene».
Antonella Sudasassi ci conduce in un universo narrativo racchiuso interamente in uno spazio domestico, attraversato dai ricordi e dal tempo. In questo luogo intimo, Ana — unica voce narrante — trova il coraggio di aprire i cassetti della memoria impolverati dal tempo , rivelando segreti a lungo nascosti tra fotografie sbiadite e pensieri dimenticati.
Il film ripercorre diverse fasi della vita delle protagoniste: dall’infanzia all’adolescenza, passando per la violenza domestica e gli abusi. “Il sesso era come un buco nero, non esisteva ma ti inghiottiva” denunciano le protagoniste, attanagliate da un vortice di violenza, derisione, colpevolezza. Il piacere era immorale, depravato, riprovevole. Il piacere sessuale portava al peccato, un peccato primordiale tanto quanto quello di Eva: prima donna mortale sulla Terra ad aver trasgredito.
Ma è proprio tra quelle mura, intrise di storie e di silenzi, che si intravede un’euforica corsa verso la libertà. Una libertà che arriva con la vecchiaia, quando le protagoniste conquistano un’emancipazione totale dall’oppressore ed una seconda giovinezza nella quale possono riappropriarsi della propria – e della nostra – storia collettiva: esse non appartenevano più né al padre, né al marito; non appartenevano più a nessuno se non a sé stesse.
«Mentre sono viva non sarò mai una vecchia», dichiara una delle donne, ricordandoci che “il tempo è una bolla, non è lineare”. Ed è in questa bolla di tempo che finalmente si afferma una nuova identità: libera dai ruoli di genere, dalle categorie sociali, dalle etichette di giovinezza o di vecchiaia. Libere di vivere una sessualità autentica e di guardarsi allo specchio senza il peso asfissiante delle costruzioni sociali.
Memorias de un cuerpo que arde è un’opera che ci fa ridere, ci commuove. Ma tuttavia ci lascia con una domanda irrisolta: quanto, davvero, le storie del presente
si sono allontanate da quelle narrate?
Un corpo in fiamme, forse, non si spegne mai. Si ascolta, si celebra, si lascia ardere.