15 Ott #2 Il nero che scala il nero che abbraccia il nero
Riflessioni di una persona che ha assistito alla performance di Piergiuseppe Di Tanno “Tanatosi”
/// La morte una muffa che si arrampica sulla realtà e che distende serenamente le sue braccia avide su tutto ciò che incontra. Gli occhi fissi su un corpo che non fa paura in quanto vero ma in quanto umano e soggetto alla legge dei secondi che si rincorrono: se lo fissi per un po’ comincia a decomporsi. Il nero che scala il nero che abbraccia il nero.
Rientri nella tua dimensione privata, catapultato sotto i riflettori dalla vergogna di chi si guarda per la prima volta, e ti domandi se anche tu lo stai finendo così velocemente, il tempo della tua performance. Montagna di respiro sommersa dal vuoto. Da un Vuoto che è l’unico e che prima di essere assenza è presenza, presenza forte e chiara, che urla e che fa tremare. Tutto si spegne e si accartoccia su se stesso come un vecchio animale colpito da un paio di luci sulla strada, come un uomo consapevole del suo umano fallimento.
La malattia mastica i corpi e li ingurgita. La Fine che striscia pervadendo le cose e le case e le strade e le città. Il silenzio è un concerto di domande, e chi ancora non è stato colpito corre disperato sperando di tuffarsi presto nel nulla dell’apnea collettiva. E si tratta di un fiato sospeso che non espira più: è uno spettacolo senza fine, senza più tempo ormai.
L’ultimo atto di ciò che siamo mai stati: il sipario resta aperto. Torniamo a vivere diversi, con la consapevolezza di avere ancora gli occhi aperti, con il passo più fermo, ascoltando bene il respiro tornato a fiorire nel petto.
La Tanatosi è avvenuta: “necro-tu, necro-noi”.